Proprio ieri parlavo con cordiali colleghi delle capacità dei luoghi di trasformarsi ed adeguarsi agli eventi. In tal senso si discettava del termine “resilienza” senza troppo riflettere sull’ambivalenza che esso implicitamente porta con se. La plasticità, e con essa il rimbalzo, propria di un materiale che si dice sia resiliente, porterebbe a pensare ad una sostanziale indeformabilità di ciò che tale risulti. Viceversa altri considerano ciò, la resilienza ovviamente, la capacità di accogliere e metabolizzare stimoli e azioni variamente subiti, modificandosi per ciò in modo proficuo. Poco conta cosa davvero possa indicare questa parola, nei fatti oramai antinomica. Quello che penso e vi dico è che ora che con le prime piogge l’autunno si affaccia, in una fugace scappata a cercare dei funghi, (da trovare anche solo in un piatto), nel luogo in cui ho passato un pezzetto d’estate ho compreso appieno il significato della resilienza dei luoghi: “abbarbicarsi ai ricordi”.
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