Come un maratoneta a fine gara, con
quel poco di fiato che mi resta, anch’io voglio parlarvi della prematura e
sciagurata scomparsa del paradigma. In tempi nemmeno troppo lontani in una
comunità scientifica era in uso il reciproco riconoscimento attraverso un
insieme di regole comuni e condivise. Poi apparvero le prime avvisaglie di un relativismo
assoluto per effetto del quale l’idea di alcuni era, a prescindere dal consenso
raccolto, la strada migliore per far progredire la scienza e dunque al consenso
si dovette sostituire l’assenso; altro non fosse per cortesia ed il quieto
vivere. Purtroppo i tempi non erano ancora maturi per una compiuta rivoluzione
dei modi e del governo del potere. Fu così che alcuni spostarono l’attenzione
su questioni apparentemente marginali rispetto all’oggetto di studio comune adducendo
la ragione che ciò avrebbe salvaguardato e arricchito la pluralità del
dibattito e del confronto. Siccome la saggezza popolare dice che “chi porta il mazzo è per un gioco truccato”
ogni minuzia diveniva risolutiva di un problema emergente di cui con una
ragionata strategia s’imponeva uno studio approfondito. Fu così che in poco
tempo i corollari obnubilarono il postulato ed il dettaglio ebbe il sopravvento
sull’insieme. Una volta dissolto il dominio disciplinare fu gioco facile rimescolare
le carte e far apparire essenziale e preminente quanto d’interesse di alcuni.
Confesso che non mi è chiaro se ciò sia stata un’azione premeditata o si sia
realizzata in modo fortuito, quello di cui sono certo è che ora che sono scomparsi i
paradigmi fondativi, di particolarismo in particolarismo è legittimo tutto ed il contrario di tutto e, questa è la
condanna che consegna i domini della scienza alla politica, una politica che per
un procedimento pressoché analogo ha perso ogni ideologia capace di fare da
collante all’interesse del singolo a vantaggio del gruppo e procede per congreghe o, se preferite, bande di bari.
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